Confermata la condanna per Waldo Bernasconi

Il “guru dell’anoressia ticinese” dovrà scontare sei anni e sei mesi di reclusione per violenze sessuali su pazienti nella clinica Sana Vita di Breganzona.

Waldo Bernasconi dovrà scontare sei anni e sei mesi di reclusione per violenze sessuali su pazienti nella clinica Sana Vita di Breganzona e della Cascina Respau di Como: la Corte di Cassazione italiana ha quindi confermato la condanna inflittagli nel marzo del 2015 e non ha disposto alcuno sconto di pena per il “guru dell’anoressia” ticinese. Il suo braccio destro, Piero Billari, è l’unico che già si trova in carcere ed è stato condannato a 4 anni e tre mesi, mentre l’ex attore Isaac George, suo collaboratore, a 4 anni e mezzo.

La conferma delle condanne d’appello è stata emessa lo scorso 18 maggio e depositata oggi, mercoledì. I fatti risalgono al periodo tra il 2004 e il 2006.

La Suprema Corte, che ha riconosciuto anche il loro reato di abusivo esercizio della professione di medico, psicologo, dietologo e psicoterapeuta, ha infatti respinto la tesi difensiva in base alla quale le donne che hanno subito gli abusi fossero consenzienti.

Fonte: RSI

Il nuovo tossico

Ciò che caratterizza l'epoca attuale è l'enorme aumento di disponibilità delle droghe e dei farmaci psicoattivi voluttuari, naturali e soprattutto sintetici. I farmaci voluttuari comprendono: l'alcol, i narcotici (eroina, morfina, oppio, cannabis), gli stimolanti (cocaina, anfetamine e metanfetamine), i deprimenti (ipnotici, barbiturici, ansiolitici), gli allucinogeni.

I narcotici sono talora definiti stupefacenti, dato che producono uno stato di beatitudine sonnolenta (stupore). La tolleranza ai narcotici a base di oppio (es. eroina) e sintetici (es. metadone) si instaura rapidamente. In poco tempo la dose richiesta per dominare l'astinenza aumenta anche di 100 volte.

L'uso di qualsiasi droga e di farmaci psicoattivi, oltre alle gravi conseguenze per la salute, ha implicazioni importanti sotto il profilo familiare e sociale.

Oggi, l'enorme disponibilità di farmaci diversi ha prodotto una nuova figura di tossicodipendente: il poli-assuntore che alterna narcotici, stimolanti e depressivi per compensare i diversi disagi provocati dall'astinenza dell'uno e dell'altro farmaco, in un circolo vizioso estremamente dannoso.

Questa compensazione farmacologica, mentre distrugge la salute e la sanità mentale del soggetto, permette comunque al poli-assuntore di conservare una patina di rispettabilità che, fino al momento di un inevitabile crollo psicofisico, gli risparmia l'esecrazione e l'ostracismo sociale tipico della ''vecchia'' tossicodipendenza.

Il programma Narconon per la riabilitazione dalla droga e dall’alcol, si rivolge all'intera persona e a tutta la sua vita, rispetto a un programma che maschera i sintomi della tossicodipendenza con i farmaci e poi rilascia la persona prima che abbia avuto la possibilità di imparare a vivere libera dalla droga o dai farmaci.

Fonte: Narconon Sud Europa

"In carcere psicofarmaci a pioggia: per riprendermi ci ho messo 3 anni"

Riportiamo qui il testo integrale di un'intervista rilasciata da un detenuto psichiatrico al giornale italiano L'Espresso.

«E sono stato fortunato. Molti altri miei amici non ce l’hanno fatta». La denuncia di un ex detenuto.

In carcere psicofarmaci a pioggia: per riprendermi ci ho messo 3 anni
“Gli psicofarmaci, in cella, venivano somministrati a pioggia. Tre volte al giorno: mattina presto, pomeriggio e la sera prima di andare a letto. E così vedevi gente che stava anche per 24 ore sdraiata per terra. Narcotizzata. Io ci ho impiegato tre anni, una volta uscito dal carcere, per riprendermi da quella roba. E mi è andata bene. Perché ho visto gente morire”. Fabio M., 53 anni, ex detenuto romagnolo, di penitenziari ne ha visitati tre. Tutti nel centro Italia, dopo aver scontato una condanna di cinque anni. Oggi è un uomo pienamente recuperato, anche grazie all’associazione Papillon di Rimini, che da anni si dedica al difficile compito di reinserimento sociale degli ex carcerati. I ricordi di Fabio su quello che accadeva in carcere, però, sono ancora molto nitidi. In particolare quella “sedazione di Stato” di cui parlano anche medici, volontari e agenti della polizia penitenziaria. Psicofarmaci che sarebbero somministrati in dosi massicce per contenere i detenuti. Come racconta lui stesso a l’Espresso in questa intervista.

Com’è la vita in carcere?
Dobbiamo fare prima di tutto una premessa. Chi finisce dietro le sbarre reagisce in tre modi diversi: c’è chi la prende con filosofia e inganna il tempo giocando a carte, c’è chi per sfogare la rabbia fa attività fisica fino all’esasperazione. Poi ci sono quelli che si chiudono in se stessi. Di solito si tratta di persone che entrano in carcere per la prima volta, magari in attesa di giudizio. Non mangiano, non parlano. Si imbottiscono di farmaci e passano le giornate stesi sulle barelle in infermerie sotterranee, sporche e senza luce. Simili a tombe. Noi detenuti le chiamano ‘le buche’”.

Come funziona la somministrazione di psicofarmaci in carcere?
Per quello che ho potuto vedere con i miei occhi c’è una somministrazione a pioggia. Per molto tempo li ho assunti pure io, poi ho deciso di smettere. L’idea che mi sono fatto è che vengano dati con così tanta facilità per contenere, per tenere calmi i detenuti. Vista anche la situazione di perenne sovraffollamento: in una sola cella si potevano trovare anche undici persone.

Che tipo di farmaci vi venivano somministrati?
Soprattutto psicofarmaci, ansiolitici e benzodiazepine.

Vi era stato detto che questi farmaci – in particolare le benzodiazepine - provocano astinenza già dopo poche settimane?
Io ho deciso di smettere proprio per questo. Mi facevano vivere in uno stato di perenne angoscia. Mi sentivo malissimo. Appena riacquisti un momento di lucidità ti senti inadeguato, ti senti una nullità.

Ha mai assistito a spaccio di droga o di farmaci, in carcere?
Questo è un altro problema serio. Molti detenuti si fanno consegnare le pastiglie, poi però non le assumono e le scambiano con le sigarette o con altri favori. Per evitare che avvenga questo spaccio gli operatori più scrupolosi somministrano solo farmaci liquidi in gocce e aspettano che il detenuto li deglutisca. Perché la realtà è proprio questa: i farmaci in carcere vanno a sostituire le droghe. E così diventa una sorta di “spaccio di Stato”. In carcere si crea uno stato di promiscuità tale che poi porta a far saltare tutti i valori.

In quale carcere, fra quelli che ha girato, ha assistito in particolare a questi episodi?
Nel carcere di Rimini. Lì il problema dello spaccio era veramente forte. Per fortuna c’è un’equipe medica molto seria e attenta che cerca di arginare queste situazioni.

Lei ha mai avuto problemi di salute dopo la somministrazione di questi psicofarmaci?
Io ci ho messo tre anni per riprendermi dall’uso di questi farmaci. E sono stato fortunato. Molti altri miei amici non ce l’hanno fatta. Molti sono morti nel sonno, in cella. Perché quei sedativi provocano le overdose, proprio come le droghe.

I problemi di salute, quindi, saltano fuori soprattutto dopo la scarcerazione. Quando i detenuti si ritrovano a interrompere la terapia…
Esattamente. E’ uno stato di felicità chimica, sono farmaci che vanno a riempire dei vuoti che i detenuti in carcere non riescono a colmare in un’altra maniera. Però sono medicine pericolosissime. Danneggiano il corpo e la mente, e uno se ne rende conto solo una volta uscito dal carcere. La pena detentiva dovrebbe avere il fine della rieducazione. E invece è una condizione che ti porta al limite della sopportazione umana. Come una tortura.

Fonte: L'Espresso

Opuscoli gratuiti

Manuali